Imprevisti e
ruoli che si impongono e si capovolgono. Questi i temi portanti di “Wher do you drag me?”: cinque quadri che si susseguono e divertono in
modo spiazzante con la rappresentazione di eventi improbabili ma paradigmatici.
L’imprevisto domina tutte le situazioni, offrendo, ad esempio, la possibilità
ad un noioso prefetto di sconvolgere la sua vita tranquilla per rigettarlo in
una passione carnale e travolgente, che sola rende memorabile la sua esistenza.
Sempre il caso domina il destino di una donna ricattata con i negativi delle
foto del suo tradimento. Per fatalità proprio quei negativi, finalmente in suo
possesso, le verranno scippati con la borsetta. Situazioni limite, ma rese
credibili dalle reazioni umane e intrise di ironica debolezza dei personaggi,
sempre sull’orlo dell’esasperazione.
I ruoli e la
narrazione sono l’altro tratto comune di tutti i quadri, dominati sempre da uno
o più narratori. In alcuni la voce che racconta è di un personaggio in scena
che partecipa come osservatore esterno, come nel caso dell’episodio del ladro
che trafuga, ignaro, i negativi prova di un tradimento. La voce narrante è furtiva e oscura, mentre tratteggia l’abilità del ladro gentiluomo che
restituirà il materiale scottante alla fedifraga ricattata, e pare lei stessa agire nell’ombra. In altri quadri i
personaggi , agendo e parlando nell’ambito del loro ruolo, parlano di sé
in terza persona, mantenendo tutto ciò che caratterizza la loro individualità.
Così un marito, esasperato dal russare notturno della deliziosa moglie,
discorre di sé con distacco formale, come se parlasse di altra persona, mantenendo
però un accoramento del tutto intimo (e molto godibile per lo spettatore) per
la vicenda che lo riguarda.
Anche
nell’ultimo quadro l’escamotage dei personaggi, che raccontano di sé in terza
persona senza mai uscire dai loro ruoli, è funzionale ad un’azione scenica che
diverte e dà il senso del paradosso delle angherie di una nonna nei confronti
del nipote ingiustamente vessato.
Il gioco dei ruoli è molto evidente nel primo
episodio scenico, che vede uno stravolgimento nell’ambito dell’interazione. Una
donna frustrata, casalinga e madre, costretta ad un’unica dimensione riduttiva
di vita, tratta due vicini adulti come bambini capricciosi e impone loro tale
ruolo al punto da ridurli ad un’involuzione caratteriale. I due regrediscono
all’infanzia e diventano schiavi delle sciocche imposizioni della mamma acquisita.
Da questo punto di vista i consigli opprimenti degli adulti ai bambini sembrano
oltre modo ottusi e incomprensibili (“bevi il tuo latte”, “chiedi scusa”,
addirittura un tormento).
Belle e
originali le idee registiche che fanno di cinque pezzi brillanti e
sapientemente scelti dei momenti di riflessione caustica sui casi fortuiti
della vita e sulla stranezza che le circostanze imposte portano con sé.
Il taglio registico di Laura Bombonato privilegia dunque i ruoli in quanto trait d’union di una serie di vicende dominate dall’imprevisto. I diversi momenti, nei quali la
fatalità gioca un ruolo dominante, sono accomunati dal gioco della narrazione solo
apparentemente esterna, laddove il punto di vista è comunque coinvolto e
suggestionato, addirittura talvolta è il protagonista stesso. In questo consiste il paradosso che crea
ilarità e travalica ogni scontatezza. L’effetto è la sorpresa che interessa e
mantiene naturalmente la tensione dello spettacolo.
Piacevole la
recitazione, giusti i tempi e ben ottenuto l’effetto ironico.
Un pubblico
numerosissimo e attento ha riso e applaudito di gusto. La rassegna “Voglia di
teatro” al “Fatto bene una volta” riscuote un successo sempre maggiore e del
tutto meritato.
Al prossimo
giovedì.