Stay hard, stay hungry, stay alive

Ultimo Barnum. Dico sul serio. Questo è l’ultimo Barnum che scrivo. Il fatto è che tu stai lì a fare una cosa, e cerchi di farla meglio che puoi, e a un certo punto te ne viene in mente un’altra, e tu continui a fare quella di prima, ma intanto l’altra ti rosicchia la fantasia, e alla fine arriva il giorno che smetti di fare la prima, e provi a fare l’altra. Questo è il giorno. Se riesco continuerò a raccontare stupori e spettacoli. Ma in un altro modo. Prossimamente, su queste pagine. Così, per la cronaca.
L’ultimo Barnum è su niente. A me piacciono i film in cui il finale è un’immagine fissa, dove non succede nulla, e in audio parte una canzone, semplicemente, e dopo un po’ i titoli di coda. L’immagine sceglietela voi. Io ho scelto la canzone. Niente di particolarmente raffinato: è l’ultima canzone dell’ultimo disco di Springsteen (the Boss). Secondo me è bellissima. E poi non so bene perché, ma è la canzone giusta per finire qui, e per finire tutto questo.
Si intitola “This hard land”: e qui già è intraducibile perché l’inglese è una lingua meravigliosa e l’italiano meno: così bisognerebbe tradurre “Questa terra dura”, ma capite bene che è tutta un’altra cosa: e allora per me, in italiano, si intitola “Questo cazzo di terra qui”. Dunque, inizia col boss che ci dà dentro con l’armonica, niente batteria, niente tastiere, solo una chitarra suonata in modo un po’ sgangherato. Poi lui solleva la testa dall’armonica e inizia a cantare con quella sua voce da andate tutti a quel paese. E quel che canta è più o meno: Ehi, mister, sai mica dirmi che cavolo è successo ai semi che avevo seminato, mister, dico a te, tu lo sai perché non è cresciuto un bel niente? Si son messi a volare di città in città e alla fine se ne son tornati qui, mi son cascati di nuovo in mano, se ne sono tornati nella merda di questa cazzo di terra qui. A questo punto, mentre la chitarra continua a sgangherare, il boss dice piano “come on”, mi immagino che si giri un po’, per dirlo, verso gli altri, “come on”, e quel che succede è che partono batteria e tastiere tutto: tu senti un piccolo idiota brivido sulla schiena, e quello che ti parte sotto il sedere è il rock, il caro e vecchio rock, del migliore, se ci credete, a tutta velocità, finestrini abbassati, non una curva, e intorno chilometri di hard land.
La melodia, quella non posso scriverla, e quindi bisogna sentirla, o immaginarla: ma comunque è di quelle da ballata rock, un po’ di malinconia e tanta forza, tutto mescolato insieme su un giro armonico da nulla. Springsteen ci canta su mozziconi di storie che non sto a tradurre, ma sempre sono un’unica storia, ed è quella di chi se ne viaggia tutto dove può per cercare un posto suo, in questa hard land, e cose così. Ogni tanto ci dà un con l’armonica, giusto per strizzare un po’ i cuori, lui che sa. A bassa voce, alla fine, attacca l’ultima strofa. Nell’ultima strofa, quelle ballate lì tirano sempre in ballo un amico, vigliacche, un vecchio amico, quello con cui ti ubriacavi da giovane, quello che ti ha fregato la ragazza, quello che tutti i mercoledì comprava il giornale per leggerti, quel genere di amici lì. E infatti anche qui arriva l’amico: Frank. Bisogna immaginarsela con la sua voce, la voce del boss: Ehi Frank, perché non metti tutto nella valigia e vieni da me, questa sera al Liberty Hall? Giusto per darsi un bacio, fratello, e poi magari ce ne andiamo in giro fino a che non ne possiamo più e ci lasciamo cadere per terra. Possiamo dormire nei campi, o in riva al fiume, e poi al mattino ci inventiamo qualcosa… comunque, se non puoi, non importa: stay hard, stay hungry, stay alive, if you can, resta forte, e affamato, e vivo, se puoi, e vedrai che un giorno ci incontreremo, in un sogno di questa cazzo di terra qui.
Poi il resto è rock che va, senza parole, solo tanta armonica, e chitarra e batteria, accelerano e se ne vanno, ti spariscono lontano nello stereo, sempre più lontano, andati. Giuro che è bella. E non è triste come sembra, il rock non è mai veramente triste, non riesce a esserlo, magari ci arriva a un pelo, ma poi una sgasata e via, tristezza è un’altra cosa.
Comunque, finisce così.
Titoli di coda.
Che uno sta sempre a guardarli perché garantito che ci scappa qualche nome bellissimo, magari tra i parrucchieri, o tra le comparse. C’è sempre un Sante Salutiddio, o un Abramo Lincoln, o un Jim “Buck Back” Sunrise: una vera miniera, per gli amanti del genere.
Va be’. Titoli di coda.
Stay hard, stay hungry, stay alive, se potete.
Fine

A. Baricco; BARNUM 2 Altre cronache dal Grande Show – Universale Economica Feltrinelli.

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