grazie a te Dario, grazie a voi Officine marcovaldo, che colorate la città e gli animi.
è stato bello riconoscerti dopo che mi hai consegnato la poesia...solo dopo qualche minuto...quando te ne eri già andato...dalla tua firma...dai riferimenti alla chitarra...a piedi per strada, mangiando la bèla couda senza forchette perchè terminate, chiedendomi "dario?....mmh, chi è?", poi quando ho collegato un guizzo di gioia mi ha illuminato.
sono fortunato: sono un poeta anch'io a modo mio...perchè vivo la poesia tutti i giorni! come hai scritto.
per il tuo massimo compiacimento: Barbara ha pianto per le parole che hai dedicato a Lei, Me, e Jacopino (che forse però preferiva l'ascensore trasparente spaziale!)
molto bella la biblioteca, a presto poeti !
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SCRIVERE POESIA..ANZI, VIVERLA!
Parlare di poesia è fuori luogo.
La poesia è sentita. Percepita. Poi dopo, scritta.
Diceva Benedetto Croce che fino ai 20 anni chiunque ha scritto poesie. Dopo, continuano solo i poeti e...i cretini! Docet. Questo aforisma mi ha sempre affascinato e al tempo stesso terrorizzato. Così, presi la decisione che prima ancora di "sentire" una poesia, di "percepirla", addirittura prima di scriverla, io avrei dovuto VIVERE una poesia.
Questo le avrebbe dato un nuovo ed efficace significato. Un modo spontaneo di scrivere parole su un foglio di carta, di vederle comparire su un monitor...
In questo week-end mi era stato chiesto da un'associazione culturale cittadina di partecipare all'inaugurazione della biblioteca civica collaborando al loro programma. La gente, i visitatori, sarebbero arrivati da noi poeti, avrebbero curiosato un po', e dopo aver vinto la timidezza, avrebbero lasciato tre semplici parole dalle quali sarebbe nata...una poesia.
Confesso che li per li ero perplesso. Del resto, al di là di ogni velleità artistica, l'estro non lo puoi dominare e gestire a comando. Come il Natale, quando arriva, arriva.
Ma come tentativo mi è sembrato più che fattibile.
Di certo sarebbe stato un ottimo esercizio di stile, e in ogni caso il mio ego ne avrebbe goduto dal momento che non riesco e mai riuscirò a riconoscere i miei limiti. Figuriamoci poi per cose come questa.
Così, assieme ai FUNAMBOLICI poeti delle OFFICINE MARCOVALDO di Alessandria, tra sabato 10 e domenica 11, abbiamo scritto tutto lo scrivibile.
Ma quello che è accaduto è riuscito ad andare oltre il concetto stesso di poesia. E' andato al di là del semplice scrivere. Le poesie in questi due giorni sono state vissute.
Non aveva importanza quello che alla fine si leggeva sulla carta... eravamo noi prima di ciò che scrivevamo, a essere poetici.
Era poetico vedere colare l'inchiostro sulla carta.
Era poetico massacrarsi i polpastrelli sulla macchina da scrivere.
Era poetico leggere le tre parole date da una vecchietta profumata e rimanere spaventati per la difficoltà con cui si presentavano.
Era poetico il gran via vai di gente, di personaggi cittadini più o meno famosi, che incuriositi sostavano davanti ad Angelo che si teneva la testa da orso fra le mani... e poi noncuranti del suo dilemma letterario gli rifilavano il tragico foglietto con le tre parole. E lui prontamente e gridare: "Daaaaaario! Ce n'è una per teee!".
Credo che pomeriggi di assoluta serenità come quelli di questo fine settimana non me ne capitavano da mesi. E credo che conserverò il ricordo di tutti i volti, di tutte le mani, di tutte le parole che hanno fatto vivere la POESIA, permettendo a tutti, di avere la propria. Di vedere le proprie parole trasformate inesorabilmente....e scoprire la magia di cui d'ora in avanti sarebbero state cariche.
Io, per me, sono certo che mai dimenticherò tre momenti in particolare.
Il primo, di un ragazzino di otto anni accompagnato dal papà. Una volta arrivatimi davanti il padre apostrofa il figlio dicendogli: "Vedi Stefano, questo è un poeta!". Il bambino mi guarda con la stessa meraviglia con cui al circo vedi saltare il leone nel cerchio infuocato, e prima di porgermi il fogliettino con le tre parole, mi da una sua poesia che parlava di bacche e montagne.
Il secondo, di una signora di mezza età di nome Rosalba, che dopo essersi seduta nella poltrona di fronte alla mia, mi chiede cosa sta succedendo, accetta la spiegazione e velocemente su un post-it scrive le tre parole: "Perchè sono così".
Poi mi guarda e mi augura buona fortuna. Rosalba non leggerà mai la poesia che le ho scritto, perchè se ne andò poco prima che finissi di scrivere le ultime strofe della sua poesia.
Il terzo ricordo credo abbia del miracoloso: é quello di un signore che mi chiede di scrivere una poesia, con le parole "Bud", "prati" e "acqua"; dopo aver pensato che la prima parola fosse rivolta alla famosa birra, viene fuori che invece è il nome del suo cane. La poesia viene scritta e lui se ne va via.
Ma alla sera, ricevo un messaggio sul cellulare da quel signore che era riuscito a rintracciare il mio numero, un messaggio in cui mi ringraziava per le mie parole che avevano fatto commuovere lui e tutta la sua famiglia, perchè il loro amato cane Bud, stava morendo in una clinica per animali....
Dopo aver passato momenti del genere, vale davvero la pena prima di diventare poeti sulla carta, riuscire ad essere "poeti della propria vita". Solo così la poesia non perderà mai la sua forza, riuscendo a essere per sempre uno strumento dell'anima puro e salvifico.
Grazie a tutti!
Parlare di poesia è fuori luogo.
La poesia è sentita. Percepita. Poi dopo, scritta.
Diceva Benedetto Croce che fino ai 20 anni chiunque ha scritto poesie. Dopo, continuano solo i poeti e...i cretini! Docet. Questo aforisma mi ha sempre affascinato e al tempo stesso terrorizzato. Così, presi la decisione che prima ancora di "sentire" una poesia, di "percepirla", addirittura prima di scriverla, io avrei dovuto VIVERE una poesia.
Questo le avrebbe dato un nuovo ed efficace significato. Un modo spontaneo di scrivere parole su un foglio di carta, di vederle comparire su un monitor...
In questo week-end mi era stato chiesto da un'associazione culturale cittadina di partecipare all'inaugurazione della biblioteca civica collaborando al loro programma. La gente, i visitatori, sarebbero arrivati da noi poeti, avrebbero curiosato un po', e dopo aver vinto la timidezza, avrebbero lasciato tre semplici parole dalle quali sarebbe nata...una poesia.
Confesso che li per li ero perplesso. Del resto, al di là di ogni velleità artistica, l'estro non lo puoi dominare e gestire a comando. Come il Natale, quando arriva, arriva.
Ma come tentativo mi è sembrato più che fattibile.
Di certo sarebbe stato un ottimo esercizio di stile, e in ogni caso il mio ego ne avrebbe goduto dal momento che non riesco e mai riuscirò a riconoscere i miei limiti. Figuriamoci poi per cose come questa.
Così, assieme ai FUNAMBOLICI poeti delle OFFICINE MARCOVALDO di Alessandria, tra sabato 10 e domenica 11, abbiamo scritto tutto lo scrivibile.
Ma quello che è accaduto è riuscito ad andare oltre il concetto stesso di poesia. E' andato al di là del semplice scrivere. Le poesie in questi due giorni sono state vissute.
Non aveva importanza quello che alla fine si leggeva sulla carta... eravamo noi prima di ciò che scrivevamo, a essere poetici.
Era poetico vedere colare l'inchiostro sulla carta.
Era poetico massacrarsi i polpastrelli sulla macchina da scrivere.
Era poetico leggere le tre parole date da una vecchietta profumata e rimanere spaventati per la difficoltà con cui si presentavano.
Era poetico il gran via vai di gente, di personaggi cittadini più o meno famosi, che incuriositi sostavano davanti ad Angelo che si teneva la testa da orso fra le mani... e poi noncuranti del suo dilemma letterario gli rifilavano il tragico foglietto con le tre parole. E lui prontamente e gridare: "Daaaaaario! Ce n'è una per teee!".
Credo che pomeriggi di assoluta serenità come quelli di questo fine settimana non me ne capitavano da mesi. E credo che conserverò il ricordo di tutti i volti, di tutte le mani, di tutte le parole che hanno fatto vivere la POESIA, permettendo a tutti, di avere la propria. Di vedere le proprie parole trasformate inesorabilmente....e scoprire la magia di cui d'ora in avanti sarebbero state cariche.
Io, per me, sono certo che mai dimenticherò tre momenti in particolare.
Il primo, di un ragazzino di otto anni accompagnato dal papà. Una volta arrivatimi davanti il padre apostrofa il figlio dicendogli: "Vedi Stefano, questo è un poeta!". Il bambino mi guarda con la stessa meraviglia con cui al circo vedi saltare il leone nel cerchio infuocato, e prima di porgermi il fogliettino con le tre parole, mi da una sua poesia che parlava di bacche e montagne.
Il secondo, di una signora di mezza età di nome Rosalba, che dopo essersi seduta nella poltrona di fronte alla mia, mi chiede cosa sta succedendo, accetta la spiegazione e velocemente su un post-it scrive le tre parole: "Perchè sono così".
Poi mi guarda e mi augura buona fortuna. Rosalba non leggerà mai la poesia che le ho scritto, perchè se ne andò poco prima che finissi di scrivere le ultime strofe della sua poesia.
Il terzo ricordo credo abbia del miracoloso: é quello di un signore che mi chiede di scrivere una poesia, con le parole "Bud", "prati" e "acqua"; dopo aver pensato che la prima parola fosse rivolta alla famosa birra, viene fuori che invece è il nome del suo cane. La poesia viene scritta e lui se ne va via.
Ma alla sera, ricevo un messaggio sul cellulare da quel signore che era riuscito a rintracciare il mio numero, un messaggio in cui mi ringraziava per le mie parole che avevano fatto commuovere lui e tutta la sua famiglia, perchè il loro amato cane Bud, stava morendo in una clinica per animali....
Dopo aver passato momenti del genere, vale davvero la pena prima di diventare poeti sulla carta, riuscire ad essere "poeti della propria vita". Solo così la poesia non perderà mai la sua forza, riuscendo a essere per sempre uno strumento dell'anima puro e salvifico.
Grazie a tutti!
postato da ReDellaPersia alle ore 20:40