Tante le
versioni dell’Avaro, sempre più o meno fedeli o attualizzate, ma il cui tema
centrale rimane la ritorsione del protagonista sul denaro, perversione che
accentra tutta la sua vita e i suoi affetti.
La scelta di
regia di Laura Bombonato (sua anche la traduzione del testo) presenta una scena
priva di oggetti, dove si susseguono rapidamente i dialoghi e dove la vicenda
si dipana in tutti i suoi intrighi e malintesi per due ore di ritmo incalzante.
Il denaro nominato si misura in euro, gli abiti sono contemporanei. Elisa (figlia
di Arpagone, interpretata da Daniela Di Carlo) e Mariana (la brava Claudia
Chiodi, fanciulla bramata dall’avaro e amata dal di lui figlio) indossano
identici abiti corti e attillati, verde la prima e rosso la seconda. Rappresentano
due facce dello stesso desiderio di libertà e di amore, oppresso dagli
interessi più biechi e più lontani dalla spontaneità.
Daniela Tusa
è un Arpagone privo di ogni sensibilità e tenerezza filiale, ottuso al punto di
ascoltare solo la piaggeria di coloro che tentano di raggirarlo. Sul suo volto
(reso mascolino da una splendida mimica facciale, prima ancora che da un trucco
sapiente) si riflettono tutte le parole degli interlocutori sotto forma di
terrore di un ipotetico furto e di compiacimento di fronte all’adulazione.
L’attenzione
è volta sempre alle sue reazioni, gestuali e tradotte in parola, e i dialoghi
tra lui e Valerio (Marco Ferrari), che con l’astuzia intende sposare l’amata
Elisa, o tra lui e il figlio Cleante (Gianluca Barbieri), sono densi di una vis
comica che travalica il tempo e pare nuova e spontanea.
Ogni
precauzione contro il raggiro si concentra sul denaro, in campo affettivo le blandizie
della mezzana Frosina, che lo convince di poter essere desiderato da Mariana,
giovane, bella e innamorata in realtà di Cleante, vengono credute e sortiscono
un effetto comico ottimamente esasperato dalla sfrontatezza della brillante Elisabetta
Puppo.
Il testo
segue il suo corso fedelmente, reso scorrevole da spunti attuali (come la descrizione
disgustata dell’abbigliamento dei giovani odierni) e, soprattutto, da una regia
rapida, che fa dei dialoghi serrati, al netto di ogni elemento ulteriore, il
percorso verso un finale che, pur ben conosciuto, ancora sorprende.
Tutto
converge verso il trionfo del “dio che ha in sé il perdono di ciò che ci fa
compiere”. Valerio pronuncia, in un dialogo esilarante, laddove Arpagone non
comprende sino alla fine che il sentimento non può e non deve essere
indirizzato al denaro, la ragione delle azioni di tutti coloro che ruotano
intorno al protagonista e che impersonano la forza della vita che contrasta
l’avidità mortifera.
Il numeroso
cast e la regia si dimostrano all’altezza di un testo che si rivitalizza ad
ogni istante grazie, in modo particolare, alla bravura dei protagonisti che
ruotano intorno alla personalità dominante dell’avaro, una Daniela Tusa
strepitosa e convincente che domina la scena dall’inizio alla fine.
Bello
spettacolo, capace di rendere attuale un classico di sempre e di mostrarne la
comicità e il valore senza tempo.
Nicoletta Cavanna