Il bianco e
il nero, la metropoli e la foresta, l’amore e la lotta. La vita non è una
successione di momenti pacifici, ma una dialettica costante tra opposti e una corsa
forsennata verso una conciliazione a volte impossibile. Open si presenta come
una successione di quadri danzati laddove la perfezione dei movimenti esprime
ora perfetta intesa sensuale, ora contrapposizione viscerale, ora ironia e
affanno quotidiano. Le ambientazioni sono create da pannelli scorrevoli che attraversano
la scena, sui quali vengono proiettate immagini sempre diverse che trasportano
in quadri cittadini forsennati o in una tenebrosa natura dove, sulle note di
Chopin, i ballerini, che emergono da abiti che paiono tronchi, sembrano danzare
una lotta sofferta e atavica. Le musiche
sono classiche (Bach, Beethoven, Chopin...) e si sposano con una danza
estremamente moderna, che fonde il plasticismo della perfezione dei movimenti
ginnici con una poeticità talmente trasparente da apparire violenta. Dunque
quadri di vita e dialettica tra opposti, ma anche velocità e mutazioni rapide e
improvvise, come il ritmo che anima lo spettacolo dall’inizio alla fine. I veloci
passaggi dei pannelli variano la scena continuamente, le coreografie spesso
simulano la corsa e l’affanno, la modernità traspare nella mancanza di pause e
nella tensione costante che non permette neppure un attimo di tregua. L’attenzione
non cala mai, giunge all’apice emozionale (per esempio in un quadro di danza di
coppia da brivido), per stemperarsi nell’ironia (come con la famosa aria della
Carmen interpretata con due pupazzi, o con una scena di matrimonio che si
conclude in scontro all’interno di un ring). L’aspettativa continua si conclude con una
carrellata di musica contemporanea ballata in tuta da lavoro e stivali di
plastica, un richiamo al mondo del lavoro, alla corporeità, ma anche alla
possibilità, con la danza, di coniugare ogni modalità espressiva, ogni forma e
ogni circostanza.
Veramente
numeroso il pubblico e meritatamente applauditi i bravissimi ballerini.