Un periodo
storico definito (1940, Londra sotto il bombardamento nemico) , un luogo
preciso e una compagnia che mette in scena Re Lear di Shakespeare. Il contesto è ben delineato e la tragedia di
un attore a fine carriera che recita la sua ultima pièce, seppur in punto di
morte, diventa simbolo di “lotta e
sopravvivenza” legato sia al periodo che alle difficoltà del lavoro nel teatro.
Ma questo è solo il punto di partenza da cui si dipanano le emozioni e i
sentimenti dei componenti della compagnia teatrale, sempre in bilico tra finzione,
stenti e sofferenze mai ripagate. Alla figura di Sir Ronald, il capocomico, si rapportano, con atteggiamenti e stati
d’animo diversi , gli altri protagonisti, tra cui il fedele e mai riconosciuto
servo di scena. Il dramma della salute di Sir Ronald appartiene principalmente
a lui, che incarna la devozione ad oltranza e il rispetto senza limiti del
pubblico pagante. Norman (il servo) si adopererà con ogni mezzo per evitare
l’annullamento dello spettacolo preannunciato per la sera, assistendo e
accudendo con tutto se stesso il suo padrone debole, infiacchito e decisamente
offuscato nella memoria. Ciò che lo spinge al di là di ogni ragionevolezza è
un’etica intransigente che fa del teatro l’espressione più seria e doverosa della
vita, laddove tutto si deve e tutto si sacrifica per un supremo fine. Il suo
senso del dovere si fonde con un sentimento di amore e attaccamento per colui
che ha servito per tanto tempo. Un amore di pari intensità, è provato dalla
regista di scena, da sempre innamorata, mai ricambiata, di Sir Ronald, sino
all’annullamento di se stessa e della sua vita trascorsa nell’attesa e
nell’ombra. Come il lavoro nel teatro
appare colmo di sacrifici mai pagati, così questi sentimenti così forti e mai
rivelati sembrano nutrirsi della gratuità più completa. Norman non sarà neppure
ricordato, come la triste innamorata, nei ringraziamenti preliminari
all’autobiografia dell’attore e la sua esistenza oscura sembrerà naufragare nei
singhiozzi e nella disperata ebbrezza etilica di fronte all’ormai cadavere del
capocomico.
La regia di
Branciaroli punteggia il testo di sfumature ironiche molto inglesi, stemperando
il dramma e giocando sul personaggio del servo che mente, simula e ricorre ad
ogni mezzo per non far annullare lo spettacolo. Lo stesso humor riemerge
durante i bombardamenti, potenziali alleati nel simulare una tempesta durante
lo spettacolo. Si sorride molto e il taglio è, a tratti, decisamente comico di
una comicità ben diretta e mai dispersiva. Emerge la recitazione di Norman, il
servo di scena, che passa da registri comici ad una drammaticità assoluta, da
toni servili ad altri decisionistici e impositivi, persino aggressivi contro
un’attricetta arrivista , potenziale fonte di inquietudine e malessere per Sir
Ronald, sempre attirato dalla gioventù e dall’avvenenza, nonostante l’età e la
malattia. Franco Branciaroli, nel ruolo del capocomico, esprime tutto
l’orgoglio di una carriera il cui merito ha trovato solo ricompense morali e,
al contempo, tutta la stanchezza e il peso di una vita di sfide.
Splendida la
scenografia su due piani. Al piano del palcoscenico sono ricostruiti i camerini
e, su un secondo piano sovrapposto, le quinte dietro il palco dove , attraverso
un telo, si vedono gli attori recitare il Re Lear, mentre le macchine di scena
ricreano effetti visivi e sonori. I protagonisti recitano passando da un piano
all’altro e l’effetto è trascinante, la finzione diventa il motore della
realtà, come la loro vita, le loro fatiche e le loro speranze deluse diventano
universali e significative.