Il dramma
celato nell’inconscio e lo scavo psicologico nei ricordi solo apparentemente
rimossi sono il tema ricorrente di Tennessee Williams che ne rende le opere
sempre attuali come i turbamenti senza tempo dell’animo. Ne “Improvvisamente
l’estate scorsa” l’aspetto psicanalitico risalta in particolar modo, insieme
alla grettezza e al perbenismo borghese volti a tacciare di pazzia ogni
rivelazione di una realtà scomoda.
Il confronto tra una presunta nipote folle,
rea solo di aver scoperto una verità socialmente inaccettabile, e una zia resa
cieca dall’amore totalizzante per il figlio morto in circostanze dubbie,
diventa una lotta esistenziale in un contesto primitivo e selvaggio. L’azione è
ambientata dal regista in un giardino-giungla. La bellissima scenografia è
formata da piante rampicanti che scendono a cascata e danno l’impressione di
una forza indomabile, animata da urla di predatori che accompagnano
sinistramente tutti i dialoghi e atterriscono per la violenza suggerita. I
protagonisti mancano di ogni senso di pietà, al moralismo borghese e al denaro
è possibile sacrificare una mente destinata, per nascondere un segreto, alla
lobotomia, famigerata pratica all’epoca considerata all’avanguardia. I due
personaggi femminili su cui ruota la pièce sono Violet, madre sopravvissuta al
figlio troppo possessivamente e avidamente amato, e Catherine, la nipote
tacciata di pazzia e internata in un manicomio per aver scoperto una tendenza
omosessuale del defunto e aver assistito alla sua truculenta morte. Straordinariamente
brave entrambe le attrici nel sostenere ruoli difficili e dalle mille
sfumature. Violet è folle e non appare tale che in particolari e nel finale,
Catherine non lo è, ma è indotta a
sembrarlo per costrizione nella casa di cura e per disperazione a causa del
trauma subito. L’intensità dell’interpretazione è persino dolorosa, tanta è la
verità che ne sortisce e la crudezza che va a colpire lo spettatore. La madre e
il fratello di Catherine sono figure meschine, ottimamente interpretate con volti
di pietra e dialoghi improntati solo all’avidità e al tentativo di
compiacimento nei confronti della ricca zia. Il solo personaggio dotato di
umanità e di reale interessamento nei confronti della presunta pazza, è il
medico esperto in lobotomia, che, in cambio di un congruo finanziamento al suo
ospedale, viene convocato per tacitare per sempre la ragazza. In lui è posta
l’unica speranza di comprensione in un mondo le cui leggi sono più crudeli che
quelle della sopravvivenza dei predatori. La lettura, durante la prima parte dello
spettacolo, che Violet fa al medico, delle Encantadas di Melville, dove si
narra di una natura selvaggia e spaventosa, si riflette in ciò che si vede sin
dal primo momento sulla scena. E’ questa la vita rappresentata, la stessa della
carneficina alle Galapagos da parte degli uccelli predatori sulle testuggini
neonate che devono raggiungere il mare, la stessa laddove “il principale suono
di vita è un sibilo”. Sibili
agghiaccianti dietro piante intricate e tenebrose non sono altro che il
riflettersi di istinti malamente celati da apparenze civili. Tutto lo spettacolo suscita un’attrazione
ipnotica sullo spettatore, l’effetto è totalizzante come l’attenzione che si
viene a creare grazie alla splendida interpretazione e alla regia di Elio De
Capitani che enfatizza l’inquietudine del testo. L’opera di Tennessee Williams
non potrebbe essere rappresentata meglio.