Colazione Emiliano-Romagnola @ Piccolo Spazio Interculturale > Serydarth


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Dopo qualche mese, torna l'appuntamento con le "Colazioni d'Italia", proposte dall'Associazione Serydarth presso il Piccolo Spazio Interculturale di via Caccia 5 a Casale Monferrato, realizzata in contemporanea con il mercatino di prodotti biologici Il Paniere di Piazza Mazzini.
http://serydarth.files.wordpress.com/2011/11/maurizia.jpgCome di consueto verranno riscoperti sapori e ricette della regione scelta, allo scopo di rivivere con l'immaginazione e i sensi, le tradizioni e i costumi che compongono l'immensa diversità italiana.


Questo mese tocca all'Emilia Romagna, e con sottofondo di canzoni e musiche, in dialetto e non, sarà Maurizia, volontaria dell'Associazione, modenese di nascita, a Casale da tanti anni, a proporre una squisita e ricca "Colazione Emiliano-Romagnola" che potrà diventare anche un brunch e che sarà composta da:
  • http://www.giallozafferano.it/images/ricette/0/40/castagnacciook_450ingr.jpgPiadina Romagnola (con stracchino o squaquerone e rucola)
  • Castagnaggio dell'Appennino
  • Bensone (dolce tipico emiliano di Modena)
  • Caffè, Te e/o Latte


« La j'è bona in tot i mud, la j'è bona énca scundida: se' n'avé ancora capì, a scor propri dla pida. »
« È buona in tutti i modi, è buona anche scondita: se non avete ancora capito, parlo proprio della piadina. »

(poesia romagnola)

La piadina romagnola, è un prodotto alimentare composto da una sfoglia di farina di frumento, strutto (o olio di oliva), sale e acqua, che viene tradizionalmente cotta su un piatto di terracotta, detto teglia (teggia in romagnolo). Giovanni Pascoli, afferma che è «il pane, anzi il cibo nazionale dei Romagnoli»: in realtà, lo era innanzitutto per i più poveri.
Il castagnaccio invece, è una torta di farina di castagne tipica delle zone appenniniche Emiliane. E' un piatto "povero" nel vero senso della parola, diffusissimo un tempo nelle zone appenniniche dove le castagne erano alla base dell'alimentazione delle popolazioni contadine. Dopo un periodo di oblio, iniziato nel secondo dopoguerra e dovuto al crescente benessere, è stato riscoperto e oggi è protagonista, nel periodo autunnale, di numerose sagre e feste.
http://www.madeinkitchen.tv/blog/wp-content/uploads/2009/11/bensone.jpgIl Bensone infine,  è un dolce di origine modenese, forse il più semplice ed antico di quelle zone.Nel XIII secolo la comunità modenese lo offriva alla corporazione dei fabbri e degli orafi in occasione della festa patronale di questi artigiani. L'etimologia del nome potrebbe derivare dal francese pain de son, ovvero pane di crusca, poiché un tempo, si utilizzava per la preparazione del dolce la farina non setacciata.
La colazione sarà quindi servita dalle 9 alle 14 di sabato 19 novembre, presso il Piccolo Spazio Interculturale di via Caccia 5. Per partecipare non è necessaria la prenotazione e sarà suggerito ai partecipanti un contributo di sottoscrizione di 4€.
Per informazioni: 349.5250560, serydarth@yahoo.it
http://www.giallozafferano.it/images/ricette/1/105/piadina_450ingr.jpgE qui di sotto, in onore della Piadina, ecco la poesia "La Piada" di Giovanni Pascoli.

I
Il vento come un mostro ebbro mugliare udii notturno.
Errava non veduto tra i monti, e poi s'urtava al casolare
piccolo, ed in un lungo ululo acuto fuggiva ai boschi,
e poi tornava ancora più ebbro, coi suoi gridi aspri di muto.
L'udii tutta la notte, ed all'aurora, non più. Dormii.
Sognai, su la mattina, che la pace scendeva a chi lavora.
Or vedo: scende. Scende: era divina l'anima.
Il cielo tutto a terra cade col bianco polverio della rovina.
Non un'orma. Vanite anche le strade.
La terra è tutto un sol mare e onde bianche, di porche ov'erano le biade.
Resta il mio casolare unico, donde esploro in vano. Non c'è più nessuno.
E solo a me che chiamo, ecco risponde il pigolio d'un passero digiuno.
II
Sul liscio faggio danzi corra voli, Maria, lo staccio! e trpicchi giocondo,
vaporando il suo bianco alito fino, che si depone sul tuo capo biondo.
O lieve staccio, io t'amo. Il tuo destino somiglia al mio:
tener la crusca; il fiore, spargerlo puro per il tuo cammino.
E fai codesto con un tuo rumore lieto, in cadenza:
semplice ma bello per l'orecchio del pio lavoratore.
Ma triste, sotto mezzodì, per quello del viandante,
che rasenta i triti limitari del lungo paesello:
ch'ode un danzar segreto, ode tra i diti di donna sola, in ogni casa,
andare te, casalingo cembalo, che inviti lo sciame errante al tacito alveare.
III
Taci, querulo passero: t'invito. Sempre diventa il tuo gridìo più fioco:
taci: or ora imbandisco il mio convito.
Il poco è molto a chi non ha che il poco:
io sull'arola pongo, oltre i sarmenti, i gambi del granoturco, abili al fuoco.
Io li riposi già per ciò. Ma lenti sono alla fiamma:
e i canapugli spargo che la maciulla gramolò tra i denti.
Nulla gettai di quello che non largo mi rese il campo:
la mia man raccoglie anche i fuscelli per il mio letargo.
Serbo per il mio verno anche le foglie aride.
Del granturco, ecco via via mi scaldo ai gambi e dormo sulle spoglie.
Ciò che secca e che cade e che s'oblia, io lo raccolgo: ancora ciò che al cuore si stacca triste
e che poi fa che sia morbido il sonno, il giorno che si muore.
IV
Il mio povero mucchio arde e già brilla:
pian piano appoggio su due mattoni il nero testo di porosa argilla.
Maria, nel fiore infondi l'acqua e poni il sale; dono di te, Dio;
ma pensa! l'uomo mi vende ciò che tu ci doni.
Tu n'empi i mari, e l'uomo lo dispensa nella bilancia tremula:
le ande tu ne condisci, e manca sulla mensa.
Ma tu, Maria, con le tue mani blande domi la pasta e poi l'allarghi e spiani;
ed ecco è liscia come un foglio, e grande come la luna;
e sulle aperte mani tu me l'arrechi,
e me l'adagi molle sul testo caldo, e quindi t'allontani.
Io, la giro, e le attizzo con le molle il fuoco sotto,
fin che stride invasa dal calor mite, e si rigonfia in bolle:
e l'odore del pane empie la casa.
V
Chi picchia all'uscio? Tu forse, Aasvero,
che ancora cammini per la terra vana, arida foglia per un cimitero?
Chi picchia all'uscio? ...E fioca una campana suona... Chi suona?
Forse un vecchio prete, restato a guardia della tomba umana?
E' solo; e ancora mezzodì ripete l'Angelus,
ed a rincasare invita, morti, voi, che sottoterra ora mietete.
Socchiudo l'uscio. Antica ombra smarrita, che in cerca erri del corpo;
ultima foglia, che stridi ancora dove fu la vita;
quel vento t'ha portato alla mia soglia, vecchio ramingo,
ultima foglia morta d'albero immenso che non più germoglia?
Ma tu sei vivo: hai fame! E qui ti porta necessità. Sei vivo: soffri!
Vivo sei: piangi! Ed ecco, dunque, apro la porta:
entra fratello, che ancor io ...si, vivo.
VI
Entra, vegliardo, antico ospite: ed ecco l'azimo antico degli eroi,
che cupi sedeano all'ombra della nave in secco
(si levarono grandi sulle rupi l'aquile;
e nella macchia era tra i rovi un inquieto guaiolar di lupi...):
il pane della povertà, che trovi tu, reduce aratore, esca veloce,
che sol s'intrise all'apparir dei bovi:
il pane dell'umanità, che cuoce in mezzo a tutti, sopra l'ara,
e intorno poi si partisce in forma della croce:
il pane della libertà, che il forno sdegna venale;
cui partisci, o padre, tu, nelle più soavi ore del giorno:
ognuno in cerchio mangia le sue quadre; più, i più grandi,
e assai forse nessuno; forse n'ebbe più che assai la madre,
cui n'avanza per darne un pò per uno.
VII
Azimo santo e povero dei mesti agricoltori,
il pane del passaggio tu sei, che s'accompagna all'erbe agresti;
il pane, che, verrà tempo e nel raggio del cielo, sulla terra alma,
gli umani lavoreranno nel calendimaggio.
Che porranno quel di sugli altipiani le tende,
e nel comune attendamento l'arte ognun ciberà delle sue mani.
Ecco il gran fuoco, che s'accende al vento di primavera.
ma in disparte, gravi, sulla palma le bianche onde del mento,
parlano i vecchi di non sò che schiavi d'altri e di sè:
ma sembrano parole sepolte, dei lontani avi degli avi.
Guardano poi la prole della prole seder concorde,
e, con le donne loro e i loro figli, in terra sotto il sole,
frangere in pace il pane del lavoro.

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