Le Troiane - 17 gennaio - Teatro Ambra- Alessandria- Recensione

Uno spettacolo complesso, dai significati molteplici che turbano e fanno ripensare alle parole ascoltate. La vera essenza della tragedia è pienamente colta e trasmessa, nella versione de "Le Troiane" nella traduzione di Sartre, dal regista Giuseppe Costantino. La scena è ricoperta di segatura, catene e qualche telo di juta richiamano lo squallore della prigionia, al centro una torretta di controllo su cui siede una guardia in tuta mimetica, armata di coltello e mitra.
Le donne troiane, uniche superstiti dopo l'eccidio degli uomini, sono ridotte in schiavitù e mormorano in coro, per poi declamare con tutta la loro forza, il loro dolore immenso e la totale mancanza di speranza per il futuro. Sono vestite di nero e i capelli sono coperti da drappi funerei. Il loro odio va ai greci, stirpe europea che disprezza la loro civiltà e si permette di massacrarla senza pietà (questa l'invettiva di Andromaca). E' un odio atavico e universale, destinato a ripetersi perennemente nella storia. La tragedia diventa paradigma della stupidità umana e la stoltezza del soldato a guardia delle prigioniere ne è l'incarnazione feroce e ottusa. Le donne lo disprezzano e lo scherniscono appellandolo "servo", cogliendo la fondamentale ignoranza della crudeltà che si impossessa di chi declina le sue responsabilità e si rende esecutore e boia. Bravissima Chiara Angelini nella parte di Ecuba, in particolare nel momento culmine del confronto con Elena di fronte a Menelao, ancora succube della bellezza e del fascino di lei. Povero uomo questo Menelao, preda di istinti di vendetta e, tuttavia, troppo debole e ancora infatuato per poterli attuare. La statura delle donne domina sugli uomini e la loro sofferenza è più forte di ogni crudeltà o di ogni egoismo, diventa qualcosa di tangibile, un monumento alla vanità umana che tutto distrugge. Tra tutte, Cassandra (interpretata da Alberto Raiteri con una vaghezza che si alterna ad una solennità totale) sembra travalicare la dimensione univoca della tragedia e della mancanza di speranza, meditando propositi di vendetta e passando da un atteggiamento svenevole e pazzoide, ad una gravità mortifera. Originale la scelta di un uomo per questo difficile personaggio e notevole l'interpretazione che si sovrappone al coro di dolore delle altre donne. L'odio delle Troiane si riversa su Elena, causa di tanta morte e, tuttavia, ancora desiderata da Menelao che non osa ucciderla di fronte a loro, promettendo di farlo in patria. La speranza della vendetta contro la donna tanto odiata svanisce e si fa strada la certezza dell'ingiustizia degli dei. "il delitto paga" è l'amara conclusione cui le donne, deportate come schiave, giungono. L'epilogo sulla vanità della vita umana è pronunciato da uno svagato e insensibile Poseidone che, dopo aver aperto lo spettacolo ed averci annunciato con totale distacco le vicende umane, ci lascia sorridente ricordandoci che moriremo tutti, nonostante le guerre, le vittorie e le crudeltà che possono allontanare da noi comuni mortali il pensiero di una sorte comune.
Spettacolo di notevole spessore e originalità nelle scelte di regia. Decisamente da vedere.

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