LA LUNGA ESTATE DEL '63 (Terzo Capitolo) Gianni Regalzi

LA LUNGA ESTATE DEL 63’
(Capitolo III)

Il caldo ed afoso Giugno stava ormai volgendo alla fine.
A volte desideravo la solitudine, non perché disdegnassi la compagnia dei miei amici, ma per un forte bisogno che saliva dal profondo, era il desiderio di ritrovare me stesso.
Davo sfogo a questa mia esigenza inforcando la bici e recandomi in viottoli di campagna nei
campi di grano ormai giallo oro e soprattutto fra i girasoli, fiore che ha sempre esercitato su me uno strano fascino, un cocktail di mistero, di infinita tristezza e struggente tenerezza.
Questo era uno di quei giorni.
Pedalavo lentamente inebriato dall’acre profumo che saliva dalla terra abbondantemente dissetata dal violento temporale scatenatosi nella notte appena trascorsa.
Sul sentiero di campagna che stavo percorrendo, non c’era anima viva e sui lati, il luppolo selvatico abbracciava gli sterpi secchi, le robinie in fiore profumavano l’aria ed i raggi del primo sole mattutino le avvolgeva creando fantasmagorici giochi di quasi improbabili colori.
I gelsi, nel loro massimo vigore vegetativo, formavano un tunnel irreale del quale non si vedeva la fine.
Il grillare dell’acqua mi indicò la presenza di una roggia.
Mi inoltrai nel folto dell’ombroso bosco camminando fra l’intenso verdeggiar d’antiche felci sotto la maestà di colte chiome di alberi secolari e, camminando rapito da tanta bellezza, raggiunsi la riva della roggia.
Mi trovai d’incanto avvolto in un paesaggio di fiaba.
Fronde cadenti e lame di policroma luce si fondevano in un susseguirsi di armonie a me sconosciute.
Poco più avanti il torrentello, degradando lentamente, formava una piccola spiaggetta ed io mi sedetti su un grande masso che si trovava nei pressi.
Incominciai a fantasticare immaginando silvane presenze, elfi dispettosi, gnomi e nani giocherelloni che prima o dopo si sarebbero rivelati.
Mentre vagavo col pensiero, quel mondo irreale nel quale ero immerso, parve concretizzarsi.
Uno strano rumore che proveniva da un folto cespuglio poco lontano attirò la mia attenzione. “Cosa mai sarà”, pensai e mentre volgevo lo sguardo verso quel cespuglio.
Fra il verde groviglio degli arbusti vidi una strana testolina che pareva mi sorridesse, quattro zampe ed un carapace verde intenso.
Era una piccola tartaruga.
Mi guardava in modo strano, per nulla intimidita dalla mia presenza, anzi molto incuriosita.
Dopo essersi fermata ed avermi osservato per qualche istante, si diresse verso il mio zainetto aperto che avevo precedentemente posato a terra e, senza esitare un solo istante, vi entrò.
Interpretai la cosa come il suo desiderio di seguirmi, mi guardai intorno e la natura circostante con il suo alito, parve approvare il suo desiderio.
Raccolsi lo zainetto con molta delicatezza, raggiunsi il vicino sentiero, presi la bicicletta e ripercorsi la strada del ritorno.
La tartaruga visse nel mio giardino per circa trent’anni e quando la guardavo, mi tornava in mente la passeggiata che feci in quel meraviglioso ed irreale mondo di fiaba.
Più volte nel tempo cercai quel posto, ma non riuscii mai a ritrovarlo.

FINE DEL TERZO CAPITOLO

Alessandria, 21 Dicembre 2007
Gianni Regalzi

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