Sexmachine di James Brown è la musica che scandisce l’inizio
dello spettacolo, ma è anche un modo di pensare, un atteggiamento mentale che
porta a considerare il sesso una merce, desiderabile perché a pagamento come
ogni genere di consumo. Giuliana Musso interpreta sei personaggi, di cui 4
uomini, e, attraverso i loro dialoghi con il musicista che la accompagna, racconta
punti di vista di clienti e prostitute, ambientando i racconti nel nord
est, luogo particolarmente fervido per
tale commercio e ricco di locali a luci rosse. I dati reali da cui parte per un’analisi,
che viene man mano incarnata con i protagonisti che prendono vita , sono
imponenti: ogni giorno 25.000 atti
sessuali a pagamento, un fenomeno che ha molte origini e che si può definire
trasversale, perché comune a persone di ceto e vite differenti.
Alcuni
personaggi riflettono cliché prevedibili, uomini la cui mentalità è stata
forgiata sulla divisione tra sesso e sentimento, incapaci di vivere una vita
piena e priva di una dissociazione tra una vita
matrimoniale ipocritamente serena e un preteso sfogo dei sensi con
professioniste del settore. L’anziano nostalgico frequentatore di case chiuse
viene messo a nudo sino alla rabbia cieca da una domanda dell’antipatica e
incomprensibile figlia single che gli
chiede chi lui sia, dopo una vita le cui uniche soddisfazioni e gli unici
momenti sinceri sono trascorsi tra le braccia di prostitute, solo luogo di
totale abbandono e libertà. Decisamente ironico il tono, ma molte le
riflessioni cui inducono punti di vista tanto ottusi e maschilisti quanto
radicati e confermati da statistiche precise. In particolare due i personaggi
più inquietanti: la madre di famiglia, vittima di un perbenismo borghese che la
inchioda ad una vita votata alla repressione più feroce di ogni desiderio, e il
cliente non abitudinario, che preferisce confessare il suo fallimento economico
ad una sconosciuta piuttosto che alla moglie amata. In entrambi i casi la
recitazione tocca momenti di alta drammaticità. La madre ostenta una serenità
vuota che crolla ogni volta che si rivolge al figlio che gioca e viene da lei
apostrofato con urla isteriche e con le peggiori frasi diseducative possibili (“non
sei mica una femminuccia”). Il suo matrimonio privo di felicità sessuale è
fatto di regole e responsabilità laddove l’amore non trova collocazione e la
sua sicurezza circa la fedeltà del marito suona falsa e forzata. Il cliente
saltuario mostra tutta la disperazione della mancanza di sintonia mentale e di
sincerità all’interno della famiglia, tanto cronicizzata da costituire la
regola dello stare insieme. Bravissima Giuliana Musso: nell’ambito dello
spettacolo passa da una caratterizzazione all’altra con una facilità
sorprendente, coinvolgendo il pubblico e mutando, di volta in volta, voce e
gestualità. La sua versatilità convince pienamente anche quando veste panni
maschili e dipinge, con la voce e con posture che, già da sole, suggeriscono pensieri
e intenzioni, le meschinità e le debolezze di uomini fondamentalmente soli e
incapaci di comunicare. L’accompagnamento musicale è godibilissimo ed è parte
dello spettacolo, insieme alle risposte telegrafiche e alle espressioni molto
significative di Igi Meggiorin, chitarrista e spalla preziosa della
protagonista per tutta la serata. Bello, divertente, di notevole spessore e
recitato splendidamente.
Nicoletta