Da venerdì 26 a Lunedì 29 novembre L'ILLUSIONISTA DI SYLVAIN CHOMET al CINEMA MACALLE' DI CASTELCERIOLO (AL).

Questa settimana il Cinema Macallè presenta, con 2 spettacoli in più:

L'ILLUSIONISTA DI SYLVAIN CHOMET

in programmazione nei seguenti giorni:

- Venerdì 26-11 unico spettacolo alle ore 21.30;
- Sabato 27-11 unico spettacolo alle ore 21.30;
- Domenica 28-11 1° spettacolo alle ore 17.00, 2° spettacolo alle ore 21.30;
- Lunedì 29-11 unico spettacolo alle ore 22.15.

"L'illusionista" di Sylvain Chomet
Scherza coi fanti ma lascia stare i santi!
Articolo di Fabrizia Centola - Pubblicato venerdì 29 ottobre 2010
Parigi, fine anni Cinquanta, nei music hall tra illusionisti e rilucenti piumate ballerine si fanno largo i primi gruppi di rock 'n' roll, oscurando rapidamente i conigli usciti dai cappelli e le paillettes. Il povero e vecchio illusionista raccoglie in un piccolo bagaglio i suoi trucchi e in compagnia di un aggressivo coniglio bianco emigra alla ricerca di un pubblico più ingenuo, più lontano dalla modernità. In un'isola della Scozia, dove è appena arrivata l'elettricità, raccoglie gli ultimi applausi prima dell'avvento del jubox, ma non è tutto: nel pub dove si esibisce incontra Alice, una fanciulla sola alla ricerca di un padre e di un futuro. Per qualche tempo, le loro vite si incroceranno; insieme saranno ad Edimburgo, lei scoprendo un mondo nuovo e lui che in quel mondo i maghi non possono più esistere.
Jacques Tatischeff, in arte Tati (1907-1982), dalle lontane origini aristocratiche russe, agiato giovane dalle passioni sportive che, passando per caso per il music hall, approda al cinema a 42 anni come attore, mimo, regista e sceneggiatore di almeno quattro perle assolute del cinema francese e del cinema comico mondiale, negli anni '70 scompare poi dalla scena, afflitto da problemi finanziari. Sylvan Chomet (Appuntamento a Belleville, 2003), di Tati anima una sceneggiatura mai portata sullo schermo e scritta tra il '56 e il '59. Dà vita ad un Monsieur Hulot in 2D, con un felice disegno che riprende il sapore del meglio di Disney, quello degli Aristogatti (1970), un mix di linee continue e spezzate, di colori pieni e sfumati. Con qualche modifica (invece di Edimburgo Tati aveva scelto Praga) e con l'accostamento de "la mia personale visione poetica alla sua e, in cuor mio, sapevo che la combinazione avrebbe potuto funzionare", Chomet compie un vero azzardo. Nulla si può rimproverare alla sua tecnica, né alle splendide immagini costruite su più livelli e valorizzate da uno stile di regia controcorrente caratterizzato dalla prevalenza di immagini fisse; ma, il problema è che Tati non c'è, seppur sulla scena l'uomo col frac color lampone, un po' curvo e impacciato, abbia le sue sembianze, ma questo non basta, anzi dichiara un impegno difficilmente sostenibile, perché la comicità di Tati è altra cosa e soprattutto è assolutamente sua.
Jacques Tati, ha dimostrato l'esistenza di un'armonia nella contraddizione: massiccio e goffo risultava fluido e leggero, come postino, come zio, come villeggiante eccentrico o solamente come disoccupato alla ricerca di un'occupazione. La sua comicità si basava sulla progressiva perdita di appartenenza al mondo in cui si vive, un mondo che si trasforma, che modifica valori e ritmi. Un gioco tra interno ed esterno, fondato sul divario che si crea tra il comico e il mondo circostante, non più capace di accoglierlo e non più da lui riconoscibile. Una comicità legata all'osservazione e alla sua sensibilità d'uomo d'altri tempi, testimone attento e rivelatore di un mondo che stava cambiano, di uno spazio spartiacque tra un prima e un dopo.
Tati, artigiano del cinema, innovatore e conservatore al tempo stesso, sviluppa un linguaggio nuovo nel silenzio di un cinema che si discosta assai dal muto come impedimento tecnologico o come riproposizione filologica delle slapstick comedy. Inaugura uno spazio di rappresentazione a 360 gradi (Playtime) e propone una sonorizzazione dei suoi film, frutto di uno studio raffinato dell'alterazione dei suoni reali, dei brusii e delle parole che accompagna lui, mimo silenzioso, mentre attraversa da resistente, ma con straordinaria delicatezza, regalandoci l'incanto della sua poesia fatta di movimento spesso al limite dell'equilibrio e dove l'assenza di parole diventa metafora, o veggenza, di un'imminente incomunicabilità.
Il film di Chomet si muove lontano dal sorriso, ingombro di una pesante malinconia senza scintille. Un racconto che avanza faticoso, che avanza frammentato senza andare oltre ciò che si vede. Un racconto di spostamento, di ricerca di un luogo che apre con incertezza, solo dei brevi sipari, come la notte nel garage, in cui è evidente il tentativo di far rivivere una comicità che però non riesce a decollare. Chi ama Tati teme, con ragione, che L'illusionista possa allontanare da Tati. E questo sarebbe un vero peccato perché, ora più che mai, c'è bisogno della sua forza comica leggera e dissacrante, per ridere (davvero tanto), per pensare, e forse anche per resistere.
Di Jacques Tati ricordiamo:
Giorno di festa (Jour de fête), 1947-1949 Gran prix du cinéma francais (1950)
Le vacanze di Monsieur Hulot (Les vacances de Monsieur Hulot) 1953;
Mio zio (Mon Oncle) 1958, Oscar Miglior film straniero (1959)
Tempo di divertimento (Playtime) 1967.
Titolo originale: L'illusionniste
Nazione: Francia, Regno Unito
Anno: 2010
Genere: Animazione
Durata: 90'
Regia: Sylvain Chomet
Sito ufficiale: www.lillusionniste-lefilm.com Produzione: Django Films Illusionist, Ciné B, France 3 Cinéma
Distribuzione: Sacher
Data di uscita: 29 Ottobre 2010 (cinema)
Testo tratto dalla rivista online - NonSoloCinema - anno VII n. 3 - © 2010

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